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[Pagina 8.]

Comincia con un ritardo.
Uno di quelli che all’inizio Thalia ignora, quasi per principio.
“È lo stress,” si dice. “Dormo poco. Ho cambiato orari.”
E più i giorni passano, più le spiegazioni diventano scuse.

Due giorni.
Cinque.
Sette.

Una mattina qualsiasi, con il cielo grigio e il suono pigro dell’acqua nel lavandino, Thalia si ritrova in bagno.
Il test è lì, accanto allo spazzolino, come un oggetto qualunque.
Aspetta. E poi boom.
Due linee.
Nitide. Chiare.

Il cuore accelera, ma non è gioia.
È paura. Una vertigine secca, un vuoto improvviso sotto i piedi.
Si aggrappa al bordo del lavandino, le nocche sbiancate, il respiro che si fa corto.

“Non può essere…” sussurra.

Con lui non ne hanno mai parlato, di figli.
Mai davvero.
Hanno discusso di concerti, vacanze last minute, cene improvvisate. Di come sistemare i quadri nel corridoio.

E adesso?
Adesso quella famiglia ha già preso forma, in silenzio.
Dentro di lei.
Una presenza minuscola, eppure gigantesca.

Thalia scivola a terra. Si stringe le ginocchia al petto, la vestaglia che si apre un po’ sulle gambe nude, la fronte che sfiora le piastrelle fredde.
Non piange. Non ancora.
Ma ogni respiro è una lama.

Si sente piccola. Inadeguata.
Come una bambina che ha rotto qualcosa di importante, senza capire come.

Vorrebbe che Gabriel fosse lì.
E allo stesso tempo no.
Perché non saprebbe da dove cominciare.
Non saprebbe nemmeno se lui…

Chiude gli occhi.
In quella stanza silenziosa, con il test ancora sul bordo del lavandino, il tempo sembra sospendersi.
E con lui, anche lei.